Guardando Il lupo in calzoncini corti, qualche tempo fa, mi ha colpito la difficoltà di comunicazione in cui si imbattevano due aspiranti padri italiani con le madri surrogate canadesi cui si rivolgevano. Una difficoltà di comunicazione che era una sorta di gap culturale, ma forse più un suo sottoinsieme, quale potrebbe essere anche il gap generazionale. In fondo, grosso modo, si può dire che Canada e Italia condividano lo stesso sistema culturale, come tutti i paesi occidentali, e se dovessi definire quella difficoltà di dialogo dovrei appellarmi alle differenze fra le parti, e la chiamerei Gap nazionale.
E' un qualcosa che, devo ammettere, non mi è totalmente nuovo. Avevo avuto la stessa sensazione in Erasmus, con un'amica francese. Certe cose che per gli italiani erano se non nuove, per le meno particolari, per lei erano tanto ovvie da non essere interessanti, e il suo "So what?" finiva sempre per spiazzarci.
Ricordo che una volta abbiamo visto assieme un video musicale (dovrebbe essere dei Prodigy, ma potrei sbagliare miseramente) girato in modo tale che la telecamera sostituiva gli occhi del protagonista, mostrando quello che faceva e che vedeva ma senza far vedere lui, se non nell'ultima inquadratura in cui, a sorpresa, si scopriva che non si trattava di un ragazzo ma di una ragazza. Il video cercava evidentemente un effetto sorpresa, altrimenti la costruzione personale rovesciata all'ultima scena non avrebbe avuto senso, ma se noi italiani avevamo abboccato alla caratterizzazione maschile del personaggio (una sorta di indovinello del chirurgo in formato video), così non era stato per Améliè, che genuinamente non riusciva a capire di che ci stupissimo.
Stessa cosa ne Il lupo in calzoncini corti, in cui la madre surrogato, una ragazza di appena vent'anni, chiedeva innocentemente come il bambino sarebbe stato tutelato una volta in Italia.
Quindi voi siete sposati?
Unione civile?
E tu adotterai il bambino una volta tornati in Italia?
Non c'era malizia nelle sue domande, nei suoi occhi. Semplicemente non pensava che in Italia potessero non esserci certi diritti che lei dava per scontati. Come se noi dovessimo scoprire che in Portogallo una donna non può portare i pantaloni. Stesso stupore.
Eppure eccoci qua, unico paese in Europa, assieme alla Grecia, a non avere riconoscimenti per le coppie di fatto. A guardare la cartina c'è da deprimersi, davvero.
Certo c'è chi potrebbe dire (e c'è chi lo fa, ovviamente) che l'Italia ha ben altri problemi di cui occuparsi prima di pensare ai gay (dando per scontato che una legislazione sulle coppie di fatto sarebbe utile solo ai gay). Lungi da me dar loro torto. Se aspettare qualche anno per le unioni civili dovesse significare occuparsi della disoccupazione giovanile, dello stato disastroso della ricerca, degli stipendi che non bastano nemmeno per metà mese, della sanità, della violenza sulle donne, o di quant'altro, aspetterei volentieri. Ma sappiamo tutti che non è così, per un semplice motivo che viene ben prima dell'indifferenza e dell'incapacità della nostra classe politica: si tratta di cose diverse. Intervenire su uno o su tutti i "problemi nazionali" richiede sforzo istituzionale ed economico, concedere la possibilità di sposarsi, o tutelarsi, a cittadini adulti no. Ci vorrebbe anche ben poco tempo, in realtà.
In compenso, ci toglierebbe da questa fastidiosa situazione di gap nazionale, perché le altre nazioni hanno dimostrato che le leggi e i diritti influenzano il modo di porsi davanti ad una realtà. E chissà, magari prima che ce ne rendiamo conto, risponderemo come mi aveva risposto Améliè quando le avevo chiesto da quanto ci fossero le unioni civili in Francia: "Non so, credo ci siano sempre state" (in realtà sono state introdotte nel 1999).
Parlando di lotte per i diritti, ecco l'ultima campagna per il matrimonio gay a New York: New Yorker for marriage equality. La prima testimonal è Julianne Mooore.
(Io ho davvero un debole per le donne coi capelli rossi. E per Julianne Moore, soprattutto quando non le lavano via le lentiggini dal viso.)
6 commenti:
Io ho dei forti dubbi che le unioni civili passino anche con un governo di sinistra, tipo nei prossimi dieci anni. Non si vogliono riconoscere neanche quelle degli altri http://bit.ly/aDeI88 (magari si teme che poi gli Italiani vadano a sposarsi all'estero? Leggetevi le trascrizioni degli interventi degli italiani). Prima o poi l'Europa imporrà il riconoscimento di quelle degli altri perché è una questione che riguarda la libera circolazione. Ma non credo possa imporre all'Italia di estendere questo diritto ai propri cittadini.
date un'occhiata anchea questo spot per la campagna a favore del matrimonio gay in irlanda, a parer mio molto bello: http://www.youtube.com/watch?v=6ULdaSrYGLQ
Ma è commovente! Grazie, non lo conoscevo
piccola nota frivola: si, il video era dei prodigy, "smack my bitch up"
anch'io come Barbara penso che l'Europa sia l'unica via d'uscita per l'Italia, perlomeno per porre l'obbligo di riconoscere le unioni all'estero... e vi assicuro non ci vuole niente a fare un Pacs in Francia, basta mettere insieme qualche documento di facile reperibilità e il gioco è fatto ;o)
vista la "rapidità" con cui vengono applicate le direttive europee in Italia, e visto che sì c'è la Corte dei diritti dell'uomo europea, ma cerca sempre di non tirare troppo la corda quando emette le sue sentenze, no, spiacente mi sa che l'Europa non basterà, non ce n'è, o si legifare qui o nulla.
F.
"Certo c'è chi potrebbe dire (e c'è chi lo fa, ovviamente) che l'Italia ha ben altri problemi di cui occuparsi prima di pensare ai gay (dando per scontato che una legislazione sulle coppie di fatto sarebbe utile solo ai gay)."
Beh, ma io ne ho sentite di più demenziali da una collega: la sostanza era che "prima del matrimonio gay bisogna occuparsi delle tante coppie di fatto eterosessuali"!!
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