Immagine presa qui.
Il tempo passa davvero, più in fretta di quanto si pensi, e cambia le cose.
E' uno dei pensieri più rassicuranti che conosca, l'idea che il tempo non si accordi coi nostri accidenti e si limiti a scorrere, uguale ed impietoso, anche se ce ne rendiamo conto sempre a cose fatte e raramente durante il loro processo. Ad un certo punto ci guardiamo indietro e ci rendiamo conto della differenza tra i termini di confronto.
E' l'effetto che mi ha fatto vedere Lo schermo velato (pessimo titolo italiano per l'originale inglese The celluloide closet), documentario del 1996 sulla visibilità gay nel cinema (quasi esclusivamente americano), costruito su interviste a personaggi gay, attori che li hanno interpretati o sceneggiatori che li hanno scritti, affiancate ad innumerevoli spezzoni di esempio che vanno da Stanlio e Ollio a Miriam si sveglia a mezzanotte, passando per Ben Hur, Rebecca e tutti i film che hanno saputo mascherarsi e sopravvivere alla censura del codice Hays.
L'excursus storico è il motivo che mi ha spinto a guardare il documentario, quello che mi ha colpito di più a fine proiezione però non sono state le immagini in bianco e nero, ma i commenti delle persone intervistate che spiegavano come ancora nel 1996 i gay non esistessero nel cinema, come i messaggi fossero velati e da decifrare, come il pubblico gay bramasse una rappresentazione.
Certo, sono passati quindici anni, ma è una constatazione che fa effetto, perché per quanto sia vero che ancora non è abbastanza, per quanto ancora, soprattutto in questa casa, ci lamentiamo dell'effetto poiana, adesso Rai1 trasmette Tutti pazzi per amore, con un personaggio lesbico che discute col protagonista di quanto sia "bona" Sharon Stone (un po' démodé, se devo dirlo).
Si tratta di un bel cambiamento, anche se, allenati da decenni di mascheramenti e codificazioni, ancora stiamo lì a cercare la verità dietro un modo di muoversi o una battuta di dialogo.
E spesso ci prendiamo anche.
Vero, Kristen?
E' l'effetto che mi ha fatto vedere Lo schermo velato (pessimo titolo italiano per l'originale inglese The celluloide closet), documentario del 1996 sulla visibilità gay nel cinema (quasi esclusivamente americano), costruito su interviste a personaggi gay, attori che li hanno interpretati o sceneggiatori che li hanno scritti, affiancate ad innumerevoli spezzoni di esempio che vanno da Stanlio e Ollio a Miriam si sveglia a mezzanotte, passando per Ben Hur, Rebecca e tutti i film che hanno saputo mascherarsi e sopravvivere alla censura del codice Hays.
L'excursus storico è il motivo che mi ha spinto a guardare il documentario, quello che mi ha colpito di più a fine proiezione però non sono state le immagini in bianco e nero, ma i commenti delle persone intervistate che spiegavano come ancora nel 1996 i gay non esistessero nel cinema, come i messaggi fossero velati e da decifrare, come il pubblico gay bramasse una rappresentazione.
Certo, sono passati quindici anni, ma è una constatazione che fa effetto, perché per quanto sia vero che ancora non è abbastanza, per quanto ancora, soprattutto in questa casa, ci lamentiamo dell'effetto poiana, adesso Rai1 trasmette Tutti pazzi per amore, con un personaggio lesbico che discute col protagonista di quanto sia "bona" Sharon Stone (un po' démodé, se devo dirlo).
Si tratta di un bel cambiamento, anche se, allenati da decenni di mascheramenti e codificazioni, ancora stiamo lì a cercare la verità dietro un modo di muoversi o una battuta di dialogo.
E spesso ci prendiamo anche.
Vero, Kristen?
2 commenti:
Davvero molto interessante. Hai, ehm, suggerimenti per riuscire a vederlo?
Tra l'altro, quello che mi chiedo sempre io di fronte a questo tipo di considerazioni è se queste allusioni, quelle dei film e dei libri che parlano solo per accenni, saranno ancora leggibili fra trent'anni. Si riusciranno ancora a leggere storie di omosessualità dietro quelle prime velatissime rappresentazioni che hanno fatto riflettere ed entusiasmato noi? Andranno perse?
http://www.youtube.com/watch?v=Qe3WGtaWA84
Da qui in poi in parti (in inglese, ma magari si trova anche in italiano).
Secondo me non si perderanno, dipenderà ovviamente molto dall'interesse di chi guarda, che dovrà "istruirsi" prima su un modo di raccontare che non sarà suo. ma forse già oggi quel modo è superato, no?
Posta un commento